Gabriella Maleti
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Marco Bellucci

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da Millenium Baguette
in AA.WW
(Nabu Edizioni, 1999, Firenze)




da Il topo



31 dicembre 1999. Ore otto e un quarto di sera. I tre erano al tavolo di cucina e stavano mangiando. La tovaglia era una delle solite, verde a righe blu. I piatti bianchi, qua e là sbocconcellati. Il padre sorseggiò rumorosamente una cucchiaiata di riso in brodo mentre si udì in lontananza il botto di un fuoco d'artificio. Alzando il capo disse con una smorfia: "Mh, cominciano presto!"
"Festeggiano," aggiunse sarcastica la madre, "che ci sarà da festeggiare!"
"A me non sono mai piaciute le feste", disse l'uomo.
"Lo so, lo so...", disse lei, inzuppando un boccone di pane nel brodo.
Il figlio quattordicenne mangiava a testa bassa. Ogni tanto alzava lo sguardo per un'occhiata di sfuggita ai genitori.
"Le feste", continuò il padre versandosi del vino, "per me sono sempre state un fastidio. È come avere delle bestioline addosso che ti disturbano, non so come dire, un nervosismo dappertutto...". Bevve. Ruttò forte, poi continuò: "Non so com'è: nelle feste sento che mi manca qualcosa, mi annoio... una noia...". Guardò la moglie.
"Lo so, lo so", disse spenta la madre.
"Sarà che i miei non hanno mai festeggiato niente nella vita. Il Natale, come il giorno del compleanno, era una giornata come le altre... a parte i tortellini. Passava senza... senza...". Cercò la parola giusta ma non la trovò. S'allungò sulla seggiola infilandosi i pollici nella cinta dei pantaloni. Fissava davanti a sé.
"Hai finito il riso?", chiese intanto la madre al figlio. "Su, che porto via i piatti", disse alzandosi. Mentre Davide porgeva il piatto vuoto alla madre, si udì vicino lo scoppio di un mortaretto. Il padre si riscosse violentemente e tolse di botto i pollici dalla cinta. Poi rimettendosi al tavolo urlò con rabbia:
"Che vi venisse un accidente! Potessero saltarvi le mani!"
Il figlio s'accorse che le mani gli tremavano.
Poi l'uomo si versò bruscamente del vino, e col bicchiere in mano si voltò verso la moglie che armeggiava attorno alle padelle. Scuro in viso chiese: "Che c'è ora da mangiare?"
"Ora arrivo...", disse lei, "cotolette all'emiliana. Fate un po' di posto in tavola".
"Sposta il pane", disse bruscamente il padre a Davide. Poi scolò il vino. Alla fine fece schioccare la bocca: "Buono!" esclamò, rasserenandosi all'istante.
Intanto la madre s'era accostata al tavolo con un tegame. Si rivolse al figlio: "Ecco qua, le cotolette che piacciono a te. Per una volta non farai le smorfie!". Il suo viso, pur essendo vagamente sorridente, rimaneva severo e pieno di rimproveri.
"No no," rispose Davide, "tu poi le fai molto buone."
"Meno male!", esclamò rigida lei.
"Sposta il vino che non entra il tegame, non vedi?", disse seccata la donna al marito; non vedi che non ci sta i1 tegame?" ripeté sgarbato i1 padre a Davide. Allora il ragazzo si alzò in piedi e spostò il fiasco.
"No, no, là in fondo, mettilo qua davanti a1 mio piatto". Poi, accortosi del tono aspro usato senza ragione, il padre diede una specie di pacca bonaria al figlio. Gli disse: "Ti piacciono le cotolette all'emiliana, eh? lazzarone!" L'uomo rise e Davide annuì.
"Potresti essere anche meno villano col ragazzo", disse a questo punto la madre.
"Ma va là che mi conosce! E' un mio modo di fare. Non è vero che mi conosci?"
"Sì, certo", rispose Davide con un sorriso tirato.
"E allora mangiamo!", finì il padre, porgendo il piatto alla moglie.
Si sentivano di tanto in tanto i rumori lontani dei petardi, dei mortaretti, delle castagnole. Ma nel preciso momento in cui stava per essere deposta nel piatto del padre una grossa cotoletta e nel breve silenzio, si udì un rumore diverso. Proveniva dalla bassa soffitta sopra le loro teste, ed era uno zampettìo molto sonoro, come una corsetta d'animale piccolo, un topo. La madre rimase con a cotoletta la mezz'aria, alzò il capo. Il padre guardò lei e poi il soffitto.
"Hai sentito?", chiese la donna al marito, "Che c'è di sopra?"
"Mh, fece lui, "sembra un topo."
"Un topo? Ci mancherebbero anche i topi in soffitta!", esclamò la madre, lasciando andare la cotoletta nel piatto dell'uomo.
"Zitta zitta," disse lui tendendo le orecchie, "fammi sentire…".
La donna rimase immobile in piedi con la forchetta in mano. Il figlio Davide guardava ora i genitori, ora il soffitto. Stettero così per un po', ma da su non arrivò alcun rumore. Allora, riscuotendosi, la madre disse al figlio: "Passami il tuo piatto. Un po' di sugo?"
"Un po' di sugo anche a me", disse il padre.
Poi anche lei si servì e, raccolto il tegame, lo portò sul fornello a gas. Sempre da lì prese gli spinaci e li portò in tavola. Era appena seduta quando dalla soffitta arrivarono ancora rumori. Qualcosa cadde e fece un rumore soffocato; forse una scatola da scarpe.
"Oh, Cristo!", esclamò il padre, alzando di nuovo la testa.
Davide s'era irrigidito ad occhi spalancati, con uno strano timore addosso. Il padre si allontanò dal tavolo, si mise di traverso sulla seggiola e sporse il busto.
La madre era ancora una volta ferma con la forchetta in mano. Davide guardò i genitori che stavano come scolpiti. Si smarrì e lasciò cadere la posata nel piatto.
"Sta' zitto!", gli sibilò il padre, già col viso cambiato dal malumore. Ora arrivò sulle loro teste il rumore d'uno scricchiolìo e poi un grattare d'unghie.
"È un topo", disse Davide con voce esile.
"Che ne sai?", disse il padre.
"Un topo potrebbe anche esserci, in soffitta", disse la madre con fare saggio.
"Non c'è niente da mangiare, su", rispose l'uomo. Poi si riaccostò al tavolo e impugnò la forchetta. Fuori esplosero ancora, secchi, due petardi.
"Accidenti a voi e a chi ve li ha venduti!", urlò il padre, tremando di rabbia. Poi guardò fisso il suo piatto e dopo un momento, buio in volto, cominciò a mangiare. Mettendo in bocca una forchettata di spinaci, la madre disse con le gote piene: "Non c'è niente da mangiare in soffitta, eh? E tutte quelle tue vecchie puzzolenti scarpe che tieni non si sa perché, cosa sono?"
"Le mie scarpe non dànno noia", rispose l'uomo masticando la cotoletta.
"Mh!", fece lei con la testa nel piatto, disapprovando.
I due mangiavano con molto rumore. Il figlio inghiottiva veloce la pietanza, mentre un'ansia via via maggiore gli affaticava il respiro. Era quasi sempre così nelle feste, comprese le domeniche: quando tutti e tré forzosamente stavano così vicino l'uno all'altro, ed erano maggiormente visibili allora le insofferenze, le antipatie.
"Dico solo che le vecchie scarpe si potrebbero buttare", disse la madre con tono un po' più alto.
"E se non le voglio buttare?", urlò il padre dando un pugno sul tavolo. Tintinnarono posate e bicchieri. Davide inghiottì il boccone per intero.
"Va bene va bene", disse la madre per nulla intimorita. "Ora però dobbiamo fare qualcosa per quel topo." Poi spalancò la bocca e con due dita tentò di far uscire dall'interstizio fra due denti un rimasuglio di carne. Stette un po' ad armeggiare senza riuscirvi.
"Che fai!", esclamò il marito. "Gli stuzzicadenti sono lì, davanti a te!"
"Mmm mmm...", annuì la donna, sempre con le dita in bocca.
Il padre dette di gomito al figlio. "Ma che fa?". Poi sghignazzò.
"Ha qualcosa in mezzo ai denti", disse Davide.
"Ha qualcosa in mezzo ai denti, uh!". L'uomo rifece il verso al figlio per poi lasciarsi andare a un'altra risata. Ripeteva: "In mezzo a che? In mezzo a che?"
"Ora basta!", gridò la madre, alzandosi da tavola. L'uomo la guardò. Si bloccò in una smorfia. Lo sguardo gli divenne tra l'umile e il rancoroso.
"Neanche l'ultimo dell'anno si può ridere!", disse tra i denti, falsamente accomodante.
La donna stava già portando via la padella con gli spinaci avanzati.
"Finite, che porto via i piatti", dichiarò con autorità.
"E vai ad aiutare tua madre, non vedi?", disse l'uomo, cacciandosi in bocca una sigaretta. Poi l'accese con gran fumo, alzando lo sguardo alla soffitta. Per un momento stette così, assorto, poi chiamò il figlio che stava portando via i piatti sporchi.
"Davide, senti un po'..."
"Che c'è?"
"Ti ricordi che abbiamo una trappola per topi in soffitta, vero?"
Il figlio lo guardò disorientato.
"Beh, anche se non ti ricordi, vai su a prenderla. Dev'essere davanti, sopra a qualche scatolone, la vedi subito. Portala giù. Gli facciamo una bella festa al topo. Contenta?", finì allungando il collo verso la moglie. Questa, china sul lavello, mugugnò qualcosa. Improvvisamente si udì fuori una sequela di scoppi, come una mitragliata.
"Maledetti!", inveì l'uomo, "Porci!"
Davide era immobile davanti al padre.
"Che fai? Muoviti, vai a prendere 'sta trappola!"
Mentre Davide uscì dalla cucina per imboccare la scaletta di legno che saliva in soffitta, la madre venne a sedersi al tavolo con un sospiro. Il padre s'era preso la testa fra le mani da cui spuntava la sigaretta accesa. I passi del figlio si allontanavano provocando un rumore lontano di sabbia, quando i due, al tavolo, udirono ancora un pesticciare sopra le loro teste, poi qualcosa che rotolava.
L'uomo si riscosse e tirando via le grosse mani dalla testa disse fra i denti: "Hai ancora poco da campare, brutta bestia!"
"E se non fosse un topo?", azzardò la donna.
"Che vuoi che sia? O tu hai l'amante in soffitta?", la schernì il marito.
"Sei sempre il solito imbecille!", s'incendiò lei.
L'uomo stava ancora ghignando quando ricomparve Davide con la trappola in mano.
"Bene, ecco la trappola, bravo ragazzo!", disse gioviale il padre, "Mettila qui, sul tavolo."
"Non sulla tovaglia!", strepitò la madre. L'uomo ne alzò un lembo e depose la trappola sul nudo tavolo. La osservò. "Mh, è arrugginita, ma ancora buona", disse. "Che ci mettiamo? Emmemthal? C'è dell'Emmenthal in casa?"
"C'è, c'è", disse la moglie.
L'uomo si muoveva con energia.


(…) Davide, sedendo al tavolo, si chiese che razza di pranzo di fine d'anno fosse quello: riso in brodo, cotolette all'emiliana, spinaci, maiale in umido con fagioli... Il maiale in umido poi lo faceva vomitare. La madre posò il tegame al centro e sedette. Poi disse di allungarle i piatti. Il padre fu il primo. Il cucchiaio penetrò nell'ammasso di carne e fagioli e un odore nauseante si sprigionò dall'insieme. Davide girò il viso dall'altra parte, tirò fuori il fazzoletto e finse di soffiarsi il naso.
"Passami il tuo piatto, ehi!", gli disse la madre con impazienza.
"Non molto", avvertì Davide.
"Non molto non molto... dovrai pure mangiare, irrobustirti, non vedi che spalle deboli hai? E poi stai sempre troppo in silenzio!"
"Sssst, zitti!", fece il padre alzando l'indice e indicando il soffitto. "Non sentite qualcosa? Forse il topo è entrato nella trappola, sta attaccando il formaggio..."
In effetti qualcosa si udiva, ma pareva più che altro uno zampettare cauto, come se l'animale stesse avvicinandosi in punta di piedi alla trappola per meglio osservarla.
"È fatta!", esultò il padre. "Fra un po' andremo a vedere e lo troveremo in trappola." Poi spalancò la bocca per infornare un enorme boccone di carne. (…)


(…) Nel silenzio che segui s'udì la corsetta del topo. Pareva che la bestiola si desse un gran daffare. Come colpito a morte il padre alzò il capo. Davide per un momento smise di respirare e la donna guardò il marito.
"Non è morto!", mormorò l'uomo. Sul suo viso si alternarono due espressioni. Da quella terribile d'esser stato beffato da un topo a quella della vendetta.
"Cambiamo formaggio", suggerì la madre.
"Che formaggio abbiamo?", chiese gelidamente lui. Si tratteneva a fatica.
"Fontina e grana", rispose la moglie.
"Che ne sappiamo poi se non l'ha mangiato il formaggio?" Guardò il figlio.
Disse: "Vai su a prendere quella maledetta trappola".


(…) Il padre alzò il capo. Chiese: "Che ora è?"
"Sono le dieci", rispose la madre.
"Com'è lunga questa fine d'anno", mormorò l'uomo. "E il topo? S'è sentito?"
"No", disse Davide.
"Mh", mugugnò il padre. Poi si stirò portando le braccia in alto. Sbadigliò. Allungò le gambe. Tagliò un'altra fetta di panettone e cominciò a mangiarla.
"Non bevi neanche un goccio di vino?", chiese alla moglie.
"No, non mi piace, lo sai. Poi, con questo topo sopra la testa..."
"Che farà?", disse il padre.
"Se la riderà!", rispose acida lei.
"Silenzio!", urlò improvvisamente l'uomo. Ora s'era completamente svegliato. "Mi pare... ho sentito...". Guardò fisso un punto del muro mentre ascoltava.
Si sentì chiaramente una corsetta dell'animale. Una pausa. Un'altra corsetta.
"Non mi dire che non è ancora in trappola!", esclamò affranta la moglie, allargando le braccia.
"Sssst, perdio!", fece l'uomo.
Il topo pareva in ottima salute. Ora faceva un dannato suono da roditore.
"E' ancora vivo quel maledetto!", disse il padre e si alzò sferrando un pugno al tavolo. Per la seconda volta nella serata tintinnarono i bicchieri. Davide lasciò cautamente la seggiola, spaventato. Non sapendo dove andare, raggiunse il lavello e si bagnò le mani. Mentre se le asciugava nello strofinaccio dei piatti osservò furtivo il padre: rosso di rabbia non si dava pace. Ora camminava in su e in giù per la cucina. "Puttana d'una troia!", imprecava.
"Insomma!", cominciò a strillare la madre, "E' possibile che tu non riesca a prendere un topo?"
"Lasciami stare!", urlò il padre.
"Facciamo l'ultimo tentativo, proviamo con il grana", suggerì la donna.
"Emmenthal, fontina, grana! Ci costa un occhio della testa in formaggi quella bestia! E poi, cosa credi, che sappia scegliere tra un formaggio e l'altro? Povera donna!", finì rabbioso il marito.
"Può darsi che il grana l'attiri di più. Che ne sai dei gusti di un topo?"
"Oh Cristo!", esclamò l'uomo, piombando a sedere su una seggiola.
"Vai, vai a prendere la trappola", disse la madre a Davide che era appoggiato al lavello. "Vai." Lo prese per un braccio e lo spinse.
Poco dopo il padre, stancamente, salì ancora in soffitta. Davide lo seguì.
Voleva vedere che succedeva. Chissà perché temeva tanto per quel topo. (…)


(…) Il tempo scorreva lentamente. Il ragazzo sentiva parlottare nel dormiveglia il padre. Forse aveva bevuto troppo vino. La madre gemette ad occhi chiusi e in una smorfia girò la testa. Si sentirono più frequenti i colpi dei fuochi d'artificio, e volgendo il capo alla finestra della stanza era possibile intravederne i bagliori. Poi il padre si risvegliò, protendendosi col busto oltre la poltrona guardò attorno. Davide finse di dormire.
"Ehi, che fai, russi?" L'uomo si era alzato andando accanto alla moglie. La scosse. Lei mugolò. "Svegliati", disse il padre. "Ma guarda questa come dorme!", esclamò.
"Che c'è?", biascicò lei. Poi sbattè la bocca due tre volte come assaporando qualcosa di amaro. Infine aprì gli occhi.
"Sveglia", disse l'uomo, "È la fine dell'anno. Che fai, dormi?"
La donna sospirò. "E il topo?", chiese in uno sbadiglio.
"Che ne so," rispose lui, "speriamo sia in trappola." Poi si avvicinò al figlio.
Lo guardò. "Anche tu," disse scuotendolo per un braccio, "svegliati. Che famiglia di addormentati! Ehi!"
"Perché non lo lasci stare", disse la madre.
"Perché si deve svegliare. Svegliati! Che t'hanno insegnato in collegio? E io che ho rinunciato alle sigarette per pagarti la retta. Svegliati."
"Lascialo stare."
"Ci vuole disciplina. Se gli dico di svegliarsi si deve svegliare."
"Oh, insomma," disse la madre alzandosi dalla poltroncina di vimini, "vieni in cucina e lascialo dormire."
"Perché vuoi darmi sempre torto? Possibile che non possa dire a mio figlio di svegliarsi?", disse l'uomo con rabbia.
"Cosa ti interessa se dorme?" La madre aveva alzato la voce.
"Se dico che non deve dormire non deve dormire. E' chiaro?"
"Sei sempre la solita bestia!", urlò la madre.
Davide allora finse di svegliarsi e alzò il capo dal tavolo. Vide il padre che prendeva violentemente per un braccio la madre.
"Lasciami andare", gridò lei con uno strattone.
"Ehi, chi credi di essere!", ruggì l'uomo.
Allora Davide si alzò e andò a mettersi davanti ai due.
"Tirati via", disse il padre. Ma il ragazzo non si mosse.
"Vieni in cucina." La madre s'avviò spingendo Davide davanti a sé. "Vieni a mangiare un po' di panettone."
L'uomo li vide uscire dalla stanza. Per un momento stette immobile e poi li seguì. Andò a sedersi pesantemente al tavolo di formica rossa. Stava guardando muto davanti a sé, la moglie era davanti alla finestra a guardare i bagliori dei fuochi e il figlio ne ascoltava scosso i brontolii, quando il topo si fece sentire.
"È ancora libero!", gridò istericamente la donna. E poi verso il marito: "Sei un buono a nulla! Nemmeno capace di prendere un topo!"
L'uomo strinse i pugni, poi gelidamente guardò attorno. Si versò un bicchiere di vino, bevve d'un colpo e sbattè il culo del bicchiere sul tavolo. Poi, stravolto, bestemmiando, si lanciò in soffitta, seguito dalla moglie e dal figlio. Davide sentiva nel petto colpi a martello. Arrivato dentro, l'uomo cominciò a spostare violentemente tutto quello che gli capitava tra le mani. Sfilò cassetti lanciandoli contro al muro. Mandò per aria mucchi di vecchie riviste, rovesciò scatole. Soffocato dall'ira imprecava.
"Ora te lo trovo io il topo, lo stano e lo massacro, lo faccio a pezzi, ti faccio vedere se non so prendere un topo. La finirai una buona volta... dove sei maledetto..."

Volavano stracci, valigie di cartone, vecchi arnesi, coperte e tarme, bestemmie, lampade arrugginite, il cappotto grigio sfilacciato, le tende coi buchi, i sandali per l'estate, quaderni, fogli di conti, il bidé di plastica, un tubo per la stufa, la borsa vulcanizzata dell'acqua calda, le scarpe di vent'anni prima, un'armoni-ca degli alpini, una chitarra sfondata.
"Sì, fai volare tutto," urlava la moglie, "neanche una serenata sei riuscito a farmi!"
"Toh, la serenata", e a due mani sfasciò la chitarra su un lugubre canterano.
"Ah!", gridò disperata la donna, "il mio canterano!"
"State fermi!", implorò il figlio, "non urlate!"
"Va' lontano, tu!", s'imbestialì ancor più il padre.
"Sta' zitto!", gli disse la madre.
"Ma lo troverò, e come lo troverò!", s'infuriava l'uomo. "Togliti di lì che spezzo le gambe anche a te!" Il figlio fece un balzo di lato, mentre il padre lanciò una coppia di pattini a rotelle addosso a un casco da parrucchiera facendolo cadere sopra ad una sequenza di barattolini di salsa.
"La mia salsa!", strillò la madre allungando le braccia, "oddio i miei intingoli!"
"Le tue brodaglie!", urlò il padre. "Vuoi vedere dove va la tua salsa?" Ed ergendosi potente l'uomo lanciò due barattoli contro il muro. Si udì lo schiocco netto del vetro che si frantuma. Davide si addossò senza respiro alla porta della soffitta. Gli occhi rimanevano spalancati e la voce gli era scomparsa. Sarebbe finalmente morto?, si disse. Dio l'avesse voluto! La madre s'appoggiò al piccolo tavolo rosso da giardino, ansando.
"Cosa credi di fare?", sibilò al marito, "credi di farmi paura?"
Ma l'uomo stava gridando: "Eccolo, eccolo!" E con un dito indicò il topo che passò veloce, andando a rintanarsi oltre.
"Uccidilo!", urlò la madre, "uccidilo!"
"No!", gridò allora Davide, staccandosi dalla porta.
"Tirati via", gli gridò terribile il padre. "Fuori dai piedi!"
Poi, agguantato un legno tondo dipinto di marrone, forse la gamba di un tavolo, a passi lenti e pesanti e a bocca aperta, l'uomo s'avvicinò al mucchio di stracci dove s'era rifugiato il topo. Ma l'animale lo prevenne e improvvisamente sbucò da lì, corse via veloce. Frastornato, nella fuga raspava con le unghie il pavimento di legno, cercava di evitare gli ostacoli disseminati a terra. Stava per infilarsi sotto al canterano, quando il legno del padre gli piombò addosso. Non corse più. Davide lanciò un urlo. Il topo era rimasto adagiato su un fianco, immobile, nel sangue, con la bocca semiaperta. Anche la testa era schiacciata.
Pareva ridesse con quei denti scoperti.
Il padre e la madre ora osservavano attenti lo scempio di quel corpo. S'era fatto un silenzio completo. Davide non era più terrorizzato. Sentì distintamente fuori una gragnuola di botti. Con calma guardò l'orologio: era mezzanotte.
L'anno era finito. I genitori, accosciati, non se n'erano accorti. Non sentivano nulla. Non si accorsero nemmeno del figlio che avanzava alla loro spalle con una spranga di ferro tra le mani. Il primo a cadere fu il padre. E mentre l'ultimo sguardo della madre si spostava pieno di terrore dal figlio all'uomo che senza un gemito si afflosciava, cadde anche lei, nel rumore sordo della sbarra sul suo cervello, in un rantolo da brividi.

 

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